Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 15 febbraio 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Autismo associato ad autoanticorpi materni (MARA): alcuni meccanismi del danno. Il MARA è un sub-tipo di autismo caratterizzato dalla produzione materna durante la gestazione di specifici pattern di autoanticorpi, che accrescono la probabilità che dopo la nascita si abbia un disturbo dello spettro dell’autismo (ASD). Sono stati descritti differenti pattern di autoanticorpi con diversi livelli di gravità del fenotipo comportamentale. Un nuovo studio, condotto da Janna McLellan e colleghi, ha preso le mosse da indagini su modelli preclinici ed è giunto a conclusioni significative. La combinazione dei dati di osservazione ottenuti dimostra che l’esposizione gestazionale ad anticorpi-MARA altera l’espressione genica precoce e le molecole di segnalazione immunitaria, con conseguente alterazione neuroevolutiva e comportamentale. [Cfr. Molecular Psychiatry – AOP doi: 10.1038/s41380-025-02907-3, 2025].

 

Spazio personale (PS) nella psicosi: ha un ruolo la corteccia parietale inferiore. La distanza interpersonale è definita dai limiti dello “spazio personale” (PS), cioè da quella parte di ambiente che circonda immediatamente il corpo di ciascuno e che viene rispettata dagli interlocutori sociali. Se un estraneo si avvicina troppo, cioè invade il nostro PS, proviamo disagio o fastidio. La regola implicita e inconscia del rispetto della distanza minima è considerata espressione di un canale di comunicazione sociale non verbale. Nella schizofrenia e in altri gravi disturbi mentali questo spazio, paragonato al limite di Roche dei pianeti, è alterato. Uno studio condotto da Louis N. Vinke e colleghi ha dimostrato che le alterazioni di PS negli psicotici includono la perdita di funzione e connettività della rete dello spazio personale (PS network). Le regioni cerebrali alterate di questa rete, come la corteccia parietale inferiore, potrebbero diventare target terapeutici. [Cfr. Molecular Psychiatry – AOP doi: 4, 2025].

 

Importanza di CYLD nella patologia psichiatrica per il ruolo nella fisiologia cerebrale. Comune elemento patologico di molti disturbi neuropsichiatrici è l’alterata omeostasi proteica, e il difetto di ubiquitinazione, tra le modificazioni post-traduzione, sembra essere la più importante. Tra gli enzimi de-ubiquitinanti (DUB), CYLD è quello che ha ricevuto la maggiore attenzione da parte della ricerca. Leonardo Nardi e colleghi hanno realizzato un’utilissima rassegna di studi su CYLD, che potrà fornire dati importanti per nuove indagini finalizzate anche all’identificazione di target terapeutici. [Cfr. Journal of Molecular Medicine (Berlin) – AOP doi: 10.1007/s00109-025-02521-4, 2025].

 

Sclerosi Multipla (SM): un caso esemplare dalla Conferenza della Società Nazionale Americana. Una giovane di 28 anni di famiglia originaria afro-americana – la SM è molto più rara tra le persone di colore e in Africa – presentava sia i sintomi tipici della SM, sia alcune manifestazioni atipiche, nel contesto di una multi-morbidità, includente un’anamnesi positiva per disturbi psichiatrici che ha complicato fin dall’inizio diagnosi e trattamento. Un disturbo dell’umore, non semplicemente reattivo alla patologia neurologica, ha creato un notevole ostacolo per le scelte di farmaci modificanti la patologia. Jonathan D. Krett della Neuroimmunologia della Johns Hopkins di Baltimora e colleghi hanno evidenziato la necessità di una precisa e precoce diagnosi differenziale, seguita da un follow-up scrupoloso, prima di scegliere un efficace indirizzo terapeutico modificante l’andamento della SM e non interferente in negativo con le altre patologie. [Cfr. Neurology, Neuroimmunology & Neuroinflammation 12 (2): e200376, March 2025].

 

Scoperta una ragione sorprendente dello stress nei maschi alfa dei babbuini. Un livello molto più alto di glucocorticoidi associato a livelli più bassi di T3 nei maschi alfa, al vertice della gerarchia di una comunità di babbuini studiati in Kenia da generazioni, era stato implicitamente associato ai rapporti con gli altri maschi, che si riteneva attivassero i sistemi neuronici della fight or flight response. Un nuovo studio su 204 maschi durato 14 anni, quale parte dell’Amboseli Baboon Research Project, ha accertato una sorprendente verità.

Le interazioni dei maschi alfa con gli altri maschi non comportavano mai aumento dei glucocorticoidi, quale indice di stress: per tenere lontani i rivali o ottenere sottomissione bastava un’alzata di sopracciglio o il semplice essere riconosciuti. Lo stato di stress cronico era strettamente connesso al rapporto con le femmine fertili nel ruolo di partner del maschio alfa: durante il tempo in cui si occupavano di conservare l’attenzione e l’interesse esclusivo delle femmine, i maschi al vertice erano sempre in tensione e in allarme; quando cominciavano a raccogliere il cibo da mangiare, si interrompevano a ripetizione per seguire le femmine e assicurarsi che non andassero da altri. Se un maschio alfa aveva appena cominciato un pasto e vedeva la femmina alzarsi e compiere qualche passo, immediatamente smetteva di mangiare e si occupava di lei. [Fonti: Duke University e Proceedings of the Royal Society B, Jan 22, 2025].

 

Balene che hanno abbassato la frequenza sonora del loro canto per ragioni di sopravvivenza. Le orche (Orcinus orca) sono gli unici predatori naturali delle balene, che contano specie e varietà diverse, alcune delle quali reagiscono alle “orche assassine” combattendo, altre fuggendo senza mai voltarsi indietro. Tra le balene che fuggono, si è scoperto che alcune, quando percepiscono o ricordano la possibile presenza di orche killer, modificano drasticamente il loro canto, al quale non rinunciano: abbassano la frequenza del loro suono vocale al di sotto dei 100 hertz, ovvero al di sotto della soglia di udibilità delle orche. Evidentemente hanno avuto l’abilità di rilevare e conservare per selezione adattativa questa capacità di commutazione di frequenza a fini di sopravvivenza. [Cfr. Marine Mammals Science – AOP doi: 10.1111/mms.13228, 2025].

 

In India le tigri stanno aumentando vertiginosamente di numero e giungono negli abitati. Recentemente abbiamo riportato di tigri che avevano cambiato le proprie abitudini, non uscendo nelle ore in cui i joggers percorrono il loro territorio. Ma un nuovo studio documenta in India un fenomeno di grandi proporzioni che non riguarda un semplice cambiamento di atteggiamento di questi grandi carnivori. A dispetto della pressione esercitata dalle popolazioni umane in espansione nel loro habitat, le tigri continuano a crescere di numero per una serie di motivi indagati da ricercatori della Aarhus University.

Fra le ragioni individuate dai ricercatori: il ristabilirsi delle condizioni ecologiche naturali grazie all’impegno ecologista, decenni di lavoro per scongiurare l’estinzione di alcune specie di tigri a rischio, le iniziative economiche ispirate al rispetto della natura e degli animali e, infine, la stabilità politica. Si può ricordare che in epoca coloniale la caccia alle tigri e l’uccisione preventiva, per proteggere la popolazione, costituivano il costume prevalente ma poi, poco per volta, è riemersa la cultura di sostrato che, prima supportata dagli antropologi, si è oggi fusa con l’ideologia animalista. Gli autori dello studio osservano che una reverenza per le tigri profondamente radicata ha promosso una cultura che idealizza la coesistenza dell’uomo con questi predatori, spesso sottovalutando la realtà di un tragico incremento di morti sbranati in luoghi prima sicuri. [Fonti: Aarhus University e Science 387 (6733): 505, 2025].

 

Tredici milioni di Italiani si rivolgono a maghi, astrologi, guaritori: che vuol dire? Il Codacons ha stimato in circa 13.000.000 il numero dei nostri connazionali che si rivolgono a maghi, astrologi, veggenti, cartomanti, guaritori e altri imbonitori per risolvere i propri problemi e conoscere il proprio “destino”; altre indagini statistiche hanno ottenuto numeri non molto differenti. Naturalmente, si tende a mettere l’accento sulle vertiginose cifre sprecate ogni anno da questi utenti di pratiche intrinsecamente ingannevoli, anche se ammesse dalla legge; a noi interessa il valore di questo dato quale indice delle conseguenze su logica e razionalità sociale dell’atteggiamento di una quota così elevata di cittadini, che non impiega le due fondamentali risorse dell’intelletto per concepire la realtà.

Un tempo si parlava di “ingenui creduloni”, immaginando persone analfabete viventi in epoca pre-televisiva in territori isolati di montagna o di campagna, sostanzialmente prive di contatto con la civiltà del loro tempo. Da oltre mezzo secolo, si sa invece di persone istruite anche oltre la scuola dell’obbligo e capaci di rispondere correttamente agli items logici dei test psicoattitudinali di prove per l’assunzione in ruoli impiegatizi, che danno credito a imposture storiche come l’astrologia, così come a persone che millantano abilità soprannaturali o poteri “magici”. Queste persone non impiegano il vaglio del buon senso, dell’esperienza materiale della realtà e le abilità di induzione e deduzione di un bambino di scuola elementare e, dunque, il loro non è un semplice difetto di istruzione ma di uso della cognizione; pertanto, non possiamo adottare per loro la categoria degli “analfabeti funzionali”, introdotta da Tullio De Mauro per gli universitari ignoranti, perché è come se mancassero della capacità cognitiva di non credere nell’assurdo, ossia è come se fossero funzionalmente deficienti. Per assumere questo atteggiamento è necessaria una forma mentis in generale poco incline al vaglio razionale e, dunque, presumibilmente costoro esprimeranno questa tendenza in ogni circostanza sociale in cui non sono obbligate da prassi, leggi, convenzioni, circostanze o persone in grado di influenzarle o pretendere da loro una “prestazione razionale”.

È impressionante pensare che il 20% delle persone che troviamo o possiamo trovare sulla strada della nostra vita siano così irrazionali. La proporzione è calcolata sulla popolazione intera, quindi si può notare che nel rimanente 80% sono inclusi i bambini, tutte le persone ammalate che non sono in grado di avere vita sociale, i carcerati e altri esclusi dai contesti relazionali, ecc. Tutto ciò ci consente di dedurre che la proporzione degli irrazionali fra gli adulti attivi sia più alta: non abbiamo calcolato esattamente di quanto, ma anche se fosse solo una percentuale del 25% vorrebbe dire che, approssimativamente, una di ogni quattro persone che incontriamo potrebbe avere un costume mentale irrazionale.

Affrontare la realtà e cercare di capirla per edificare la propria vita è un compito che ci ha impegnati tutti e, almeno per esperienza, sappiamo quanto richieda conoscenza dei fatti, delle circostanze di vita, delle “regole del gioco”, della comprensione di origine e cause di ciò che ci accade, e in particolare del capire quanto della nostra esistenza non sia “destino scritto nelle stelle” ma conseguenza delle nostre azioni e delle nostre scelte, dipendenti da assunzioni di responsabilità. E sappiamo che il presente di queste ragioni ha gettato, man mano, le basi per quello che ogni volta era il futuro: quanti imprevisti, crisi e difficoltà accanto ad eventi lieti vi sono stati? Eppure, di ciascuno abbiamo avuto, presto o tardi, un quadro esatto della sua rappresentazione nella nostra coscienza, quale riflesso della sua esistenza nell’oggettività – pur imperfetta – del mondo reale.

È lecito presumere che questo grado di consapevolezza, derivato da un impiego elementare e quasi naturale di ragione e logica di primo acchito, capace di codificare gli eventi e la nostra volontà, sia stato difettoso, lacunoso e spesso integrato da “razionalizzazioni soggettive” in coloro che sono abituati a fare ricorso a pensiero magico e ideazione irrazionale su questioni concrete e rilevanti. In psichiatria, per gli studi volti a stabilire con le basi psichiche di questi costumi mentali il confine tra normale e patologico, sono stati versati i proverbiali fiumi di inchiostro, particolarmente in ricerche multidisciplinari che hanno indagato l’incidenza rispettiva di fattori neurobiologici e psicologici, da una parte, e culturali, sottoculturali, antropologici e comportamentali, dall’altra.

Due fatti sono certi: stride con le attuali possibilità di “crescita mentale” alla portata di tutti, che un costume che costituisce un anacronismo sottoculturale, come ogni superstizione e credenza non supportata da ragione o cultura, possa essere tanto diffuso e presente.

Le ragioni sono molteplici; fra le tante, abbiamo soffermato l’attenzione su una: decenni di campagne di delegittimazione del sapere scientifico, cui l’ideologia di un movimentismo collocabile tra l’anarcoide e il qualunquistico ha costantemente attribuito – compiendo un esiziale falso di proporzioni gigantesche – le colpe del potere politico che ha usato il know how tecnologico, più che scientifico, per perseguire scopi a volte scellerati. [BM&L-Italia, febbraio 2025].

 

I nuovi studi su microbioma intestinale e asse cervello-intestino evidenziano l’importanza dei costumi alimentari. L’importanza dell’asse cervello-intestino per l’equilibrio psichico e nella genesi di disturbi neurologici e psichiatrici è ormai un fatto comprovato da quasi tre decenni di studi, e la reciproca influenza tra biotopo intestinale e fisiologia del cervello costituisce un campo di indagine di grande attualità sperimentale e culturale. Dai disturbi neuroevolutivi a forte componente genetica (schizofrenia, disturbi dello spettro dell’autismo, ecc.) alla neuropatologia ad eziologia ambientale, tutto lo spettro delle malattie del cervello è potenzialmente analizzabile nella prospettiva di influenze da parte del microbioma intestinale. Se di recente è stata dimostrata l’associazione al citomegalovirus intestinale della malattia di Alzheimer con microglia CD83+, da tempo è stato accertato uno stretto rapporto tra alterazioni del biotopo intestinale e disturbi depressivi, d’ansia e da stress, e sono poche le categorie neuropatologiche non indagate sotto questo profilo, sia in un’ottica patogenetica, sia in termini di semplice influenza.

La prima e principale fonte di regolazione o alterazione del microbioma intestinale è costituita dagli alimenti e, se anche i bambini sanno che una dieta ricca di fibre e acidi grassi essenziali come la dieta mediterranea è salutare, mentre il cibo ad elaborazione industriale è dannoso, solo di recente si stanno definendo i processi implicati, che hanno al centro la flora microbica del tratto digerente[1].

È interessante notare che un primo picco di consapevolezza sociale circa i principi della corretta alimentazione era stato già rilevato da indagini sociologiche negli anni Novanta; eppure, a oltre un quarto di secolo di distanza, il consumo di ultra-processed food non accenna a diminuire e gli alimenti ricchi di additivi, conservanti e grassi idrogenati sono spesso “riservati” ai bambini, con la scusa che non si ha tempo di preparare loro colazioni, merende, spuntini e a volte anche pasti, non considerando possibilità sbrigative e salutari, ma “fuori moda”[2]. In qual modo si può riuscire a far cambiare abitudini così radicate?

La discussione seminariale ha portato a una conclusione unanime: è un problema che va affrontato in chiave culturale: non basta l’insegnamento dei principi di corretta alimentazione nella scuola dell’obbligo, è necessario rivolgersi agli adulti, cercando di far comprendere loro che la scelta e la preparazione dei cibi ha un’importanza maggiore di quanto si sia ritenuto fino ad oggi sulla salute e sulla longevità. È evidente che sarebbe necessario un richiamo alla coscienza di tutti coloro che seguono automaticamente le abitudini non salutari, accrescendo la loro consapevolezza. Non è semplice. I cuochi della Scuola di Cucina Lorenzo de’ Medici di Firenze non hanno dubbi: bisogna fare in modo che la gente riprenda a cucinare e impari fin dalla più giovane età la preparazione dei cibi, venendo così in contatto con la materia prima fresca di natura e i modi più semplici, salutari e virtuosi di preparare vivande. Da tempo hanno creato corsi per singoli, per diadi, quali coppie, genitori e figli, nonni e nipoti, e secondo altre soluzioni adatte a turisti o a persone che intendono davvero imparare il mestiere. Seguendo negli anni alcuni di questi esperimenti, abbiamo costatato che anche coloro che partecipavano solo per curiosità finivano poi per rendersi conto che alcuni piatti sono facili da preparare e che fare da sé, in modo “fresco e genuino”, è sempre la cosa migliore.

Per contribuire ad accrescere in chiave culturale l’attenzione e la consapevolezza su questo argomento, noi abbiamo deciso di proporre alcuni tra gli spunti storici più interessanti della cucina italiana delle origini e nel corso dei secoli, con particolare riferimento alla tradizione toscana.

 

Si è scoperta una tradizione culinaria etrusca più antica e ricercata di quella romana. Gli scavi di archeologia etrusca presso Orvieto, in località Settecamini, hanno rinvenuto nella tomba Golini I, risalente al IV secolo a.C., degli affreschi eccezionali, in cui si vede che gli Etruschi facevano pane di bell’aspetto, pappardelle, zuppe, bistecche di manzo e di maiale alla griglia, polli alla diavola e persino la schiacciata con l’uva. Nella “tomba dei Rilievi” di Cerveteri si trova riprodotto un ampio repertorio di utensili da cucina, “quali coltelli, mestoli, padelle, colini, una grattugia e persino una rotella dentata per tagliare la pasta”. Secondo Paolo Petroni: “Gli Etruschi erano dei raffinati buongustai: mangiavano e cucinavano al suono del flauto, gustavano i piatti stando distesi ed erano serviti da ragazze e ragazzi. Usavano piatti e bicchieri, bevevano ottimi vini (sempre allungati con acqua, com’era in uso nel passato) e i cibi erano genuini e saporiti. Dopo la distruzione di questa straordinaria civiltà da parte dei Romani, dovettero passare molti secoli prima che si tornasse a un simile livello di cultura gastronomica”[3].

Dal 59 a.C., anno in cui convenzionalmente si fissa la fondazione da parte di ex-legionari di Giulio Cesare di Florentia sulla riva fiorita dell’Arno, dove già vivevano comunità etrusche, la cucina di quelle terre toscane, come quella di tutta Italia, si identificherà con la cucina romana. Come attestato dai documenti, soprattutto nelle prime epoche delle grandi conquiste, la cucina dei Romani era povera e semplice, quale riflesso dei costumi di un popolo guerriero, parco e frugale nei pasti. L’alimentazione romana si basava, infatti, su due preparazioni fungenti da primo piatto o piatto unico, pesci cotti in modo semplice, formaggi, frutta e verdura. I due piatti nazionali romani erano il pulmentum, ossia orzo cotto nel brodo, e la puls, una specie di polenta a base di farina di farro o di miglio. Esistevano molte varietà di pane, ma non erano preparazioni speciali, si trattava solo di diverse tradizioni legate ai singoli territori conquistati dai Romani: pane scuro, pane integrale, pane bianco, pane a fette biscottate e condite. Come vedremo più avanti, lo sviluppo dell’arte della preparazione di minestre e pietanze è molto lento, fino all’epoca in cui viene scritto il primo libro di cucina della storia, attribuito a Marco Gavio Apicio: De re coquinaria. L’opera era una raccolta in dieci libri (rotoli) di ricette aggiunte a un nucleo originario, presumibilmente stilato da Marco Gavio, come vedremo più avanti. Qui ci preme ricordare la presenza di un ingrediente ritenuto molto salutare, al punto da essere considerato un farmaco, e dal sapore apprezzato da tutti i popoli dell’antichità che lo avevano conosciuto: il silfio o laserpicium, di cui diremo la prossima settimana.

[continua]

 

 

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[1] Caroline Y. Um, et al., Grain, Gluten, and Dietary Fiber Intake Influence Gut Microbial Diversity: Data from the Food and Microbiome Longitudinal Investigation. Cancer Research Communications 3 (1): 43-53, 2023. Questo studio ha accertato che la regolare assunzione alimentare di grano integrale e altre fibre è associata ad abbondanza di batteri intestinali in grado di abbassare il rischio di cancro del colon-retto.

[2] Dalle fette di pane o panini integrali con pomodori, formaggio, ecc. alle tradizionali mele o altra frutta che non sporca o frutta secca. Senza contare la possibilità di dedicare un po’ di tempo una volta la settimana a preparare un ciambellone, pandolce o simili con ingredienti genuini (farina integrale, latte, uova, miele) per sostituire le dannosissime merendine industriali.

[3] Paolo Petroni, A tavola con gli Etruschi e i Romani, in Il libro della vera cucina fiorentina, p. 11, Giunti, Firenze 2009.